Vincent Van Gogh ha un passato da predicatore. Scoprite i segreti della personalità inquieta dietro le opere d’arte più intense che siano mai state dipinte.
Vincent Van Gogh è uno dei pittori più famosi ed amati. L’ho voluto raccontare parlandovi non tanto del suo stile pittorico, ma entrando nella mente di Van Gogh. Voglio parlarvi dell’uomo che guardava i girasoli.
Van Gogh è infatti molto conosciuto, un mito sacro dell’arte, estremamente amato dal grande pubblico per i suoi colori pieni di sole; ha incarnato nell’immaginario collettivo l’idea del pittore folle e geniale.
Nonostante tutto ciò, probabilmente, l’uomo Van Gogh resta ancora molto incompreso.
Nella mente di Van | Gogh Prima parte
L’infanzia
Vincent nacque nell’ombrosa e umida campagna olandese nel 1853.
Suo padre era un pastore protestante e questo già ci fa capire qualcosa: proveniva da una famiglia con forti valori morali.
Aveva diversi fratelli e sorelle, tra cui il famoso Theo, il fratello prediletto, con cui scambiò moltissime lettere durante tutta la sua vita.
Era un bambino solitario, attratto dalle piccole cose della vita, dai nidi d’uccello, dalle persone umili e persino dai tronchi d’albero.
Forse è significativo che sua madre, prima di lui, avesse avuto un altro bambino con lo stesso nome, Vincent, morto prematuramente e sepolto nel cimitero accanto alla casa.
In pochi sanno che non diventò subito pittore. Entrò a contatto presto con il mondo dell’arte, ma come commesso presso la galleria dello zio all’Aia ed in seguito, allo stesso modo, presso una galleria a Londra.
In questa fase entrò in contatto con alcuni circoli di artisti e realizzò già diversi disegni, ma non abbiamo molto di questa fase: siamo negli anni 70 dell’800.
Il carattere di Vincent Van Gogh
Vincent aveva un carattere ombroso, che non rendeva facili le relazioni con gli altri. Sappiamo che una delusione d’amore a Londra lo spinse a gesti auto-punitivi: non sarà l’ultima volta.
Il suo mondo interiore era turbolento, incapace di quiete.
Ad un certo punto della sua vita si accese un fuoco sacro dentro di lui. Iniziò a studiare la bibbia e sentì crescere una vocazione mistica.
Rientrò dall’Inghilterra e, con l’aiuto della famiglia, iniziò a studiare teologia.
Ma non era ciò che davvero desiderava. Studiava a fatica e si accorse che ciò che gli interessa davvero non era imparare il latino.
Voleva stare in mezzo alla gente, tra ai poveri e gli emarginati.
Questa attrazione verso le persone più umili della società lo caratterizzerà per il resto della sua vita.
Vincent predicatore
Decise di diventare un predicatore e si trasferì nella zona di Wasmes, dove i minatori olandesi vivevano e lavoravano in condizioni pessime, con salari infimi ed dove le malattie proliferavano.
Vincent donava tutto se stesso con totale abnegazione, condividendo i suoi beni personali con questa gente, persino i suoi vestiti.
Non esistevano mezze misure, lui sentiva di dover condividere le sofferenze dell’umanità.
E’ troppo.
Troppo cristiano, persino troppo politico, troppo pericoloso: la sua condotta poteva dare spazio a rivendicazioni sociali.
Venne allontanato dai suoi superiori per “aver preso troppo alla lettera il messaggio evangelico”: una situazione paradossale.
Non si può davvero capire Van Gogh se non si conoscono questi anni della sua vita, questo impegno sociale, questo misticismo, questa urgenza di condividere.
Siamo nel 1880, Vincent ha 27 anni.
Ed è solo ora che decide di dedicarsi seriamente alla pittura.
Elabora vari disegni che hanno come soggetto i lavoratori, le persone sole, le case umili, la campagna.
Ha un tratto molto particolare, grezzo, espressivo, forte come i suoi soggetti che ne escono intrisi di dignità e solitudine.
“I mangiatori di patate”, del 1885, è il capolavoro che riassume questa fase della sua vita.
Possiamo quasi sentire l’odore di questa cucina contadina, male illuminata, fumosa.
La pittura è materica, i chiaroscuri potenti.
C’è un forte legame tra la tradizione pittorica olandese e la sua personale esperienza di mani grossolane e visi provati dalla fatica.
Ma non c’è nessuna caricatura, né pena, per lui la povertà è dignitosa, solidale, e non va nascosta: va raccontata.
Nella mente di Van Gogh | Seconda parte
Il periodo francese
Il 1886 è un anno di svolta.
La Ballerina Jane Avril
Toulouse-Lautrec, 1893
Van Gogh lasciò l’Olanda per recarsi a Parigi, dove viveva suo fratello Theo che faceva il mercante d’arte.
Era il centro del mondo e della cultura: Vincent conosce Monet, Rodin, Tolouse Lautrec e molti altri artisti attivi in quel momento.
In quegli anni è lì che si respirava un’aria internazionale e si potevano scoprire le ultimissime tendenze in campo artistico.
Il gruppo degli impressionisti si era da poco sciolto, ma Van Gogh fece in tempo ad intercettarlo e ne colse un nuovo modo di intendere la luce e il colore steso piccoli a tratti, che in lui però non rimanevano piccoli tocchi di colore ma si trasformano in pennellate vigorose e passionali.
Più che gli eleganti salotti parigini, Vincent è attratto dal piccolo popolo di Montmartre, il quartiere dove vive.
Renoir, 1876
Di questo periodo è “il ritratto di Père Tanguy”, un mercante di colori che collezionava e vendeva opere impressioniste.
La sua bottega era un centro d’incontro importante per gli artisti ed era molto benvoluto, tanto da essere soprannominato “père”, ovvero padre.
Il suo aspetto è rassicurante e benevolo, Van Gogh lo ritrae molto vividamente.
Attorno a lui vediamo molte opere d’arte e numerose stampe giapponesi, all’epoca infatti andavano di gran moda (vedi l’articolo sul Giapponismo).
La provenza e Gauguin
Ma già nell’88 Vincent ne ebbe abbastanza della vita frenetica della grande città e cercò una nuova meta.
Si diresse a sud della Francia, dove scoprì i colori come non li aveva mai visti: la luca calda ed intensa della Provenza li rendeva luminosissimi e carichi.
Viveva nella città di Arles e, grazie alle lettere scambiate con il fratello Theo, conosciamo moltissimo di quello che accadeva e di ciò che pensava.
Appartengono proprio a questi anni le sue opere più famose.
Tra queste “I girasoli”, ritratti di un fiore semplice e potente, dipinto varie volte come se potesse racchiudere un’enorme forza vitale, con moltissime variazioni di gialli.
Oppure “Terrazza del caffè sulla piazza del forum”, dove la luce dorata delle lampade crea un senso di intimità esaltato dal contrasto con la notte blu, dove le stelle sembrano fiori.
La stessa gamma cromatica di gialli e blu la troviamo nella “Notte stellata”, dove la cattedrale di Saint Remy svetta verso il cielo e lo stesso fanno i cipressi, che sembrano fiamme scure.
Tutto conduce il nostro sguardo verso il vero protagonista del quadro: il cielo, le cui stelle ruotano e la luce ci risucchia in un vortice mistico di estasi e comunione.
Ad Arles Van gogh trovò una sorta di famiglia adottiva, quella dei Roulin. Joseph Roulin faceva il postino, e Vincent lo ritrasse nella sua uniforme blu.
Lo sguardo ci trasmette l’idea di un uomo schietto e di cuore: rimarrà infatti fedele amico di Vincent anche nei momenti più difficili.
Sua moglie, materna, morbida e accogliente, è ritratta mentre dondola la culla con la corda, come si usava allora.
Per questa ragione il ritratto si chiama “la berceuse”, ovvero colei che culla.
Vincent aveva bisogno di affetto, sognagnava un idillio, avrebbe voluto creare una comunità di pittori che vivono sotto lo stesso tetto, con spirito di condivisione e scambio di idee.
Si mise in contatto con un pittore che cominciava ad essere in vista: Paul Gauguin.
Lo invitò a recarsi nella sua casa gialla di Arles e nell’ottobre dell’88 i due iniziarono a convivere e a dipingere insieme, ma le cose non andarono come Vincent aveva sperato.
I loro caratteri erano troppo diversi: Gauguin aveva una personalità forte ed era abituato a sentirsi un maestro in mezzo a seguaci e ad impartire lezioni. Vincent è chiuso, non accetta di dipingere il mondo tramite la fantasia come vuole Gauguin, è attaccato agli oggetti ed alle persone vere.
Inoltre, aveva sempre le sue crisi interiori, la sua instabilità emotiva.
Gli ultimi anni
A dicembre scoppia l’ennesimo litigio, ma stavolta finisce male: Van Gogh aggredisce Gauguin con un rasoio in mano e quello se ne fugge via spaventato.
Pieno di rimorsi, Vincent rivolge tutta quella rabbia violenta contro se stesso, mozzandosi un orecchio. Forse non sapendo bene cosa fare, porta l’orecchio amputato ad una prostituta che frequentava, Rachel.
Sarà lei a chiamare la polizia.
E’ evidente che Vincent ha bisogno di cure. Accetta di farsi ricoverare nell’ospedale di Arles dove i medici cercano di capire, senza risultato, quale fosse il suo male.
Dipinge durante il ricovero la corsia ed il cortile dell’ospedale stesso.
Ad oggi la sua malattia è un tema ancora molto dibattuto, ma forse è proprio questo suo mondo passionale, mistico e turbolento che ha fatto nascere una pittura così incredibile.
Uno dei quadri più commoventi, secondo me, è “La sedia di Gauguin”.
Protagonista del quadro non è quello che si vede, ma quello che manca: è il ritratto dell’assenza.
Gauguin se n’è andato, e questa era la sua sedia.
Ad essa fa da contrappunto la sedia sua personale, anch’essa carica della personalità di Van Gogh, anch’essa destinata a rimanere presto vuota.
Nel giro di poco, il 27 luglio del 1890, Vincent soccomberà ai suoi tormenti interiori e si toglierà la vita con un colpo di pistola.
L’ultimo quadro che ci ha lasciato è campo di grano con i corvi, nel quale la bellezza piena di sole del paesaggio è oscurata dal nero presagio degli uccelli.
Io scelgo però lasciarvi con un altro quadro, il mio preferito: la camera di Van Gogh.
Qui troviamo i suoi colori prediletti, il giallo ed il blu; tutte le linee e gli oggetti guardano verso l’interno, creando un effetto intimo, chiuso, stretto.
E’ qui, come in un nido, nella poetica degli oggetti semplici, nell’effetto rassicurante e protettivo della quotidianità, che Vincent trovava finalmente un po’ di quella pace e serenità tanto agognata.
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