La morte nell’arte, l’umanità dietro il sacro:

In che modo l’arte rappresenta la morte?

Cosa si nasconde dietro la pittura sacra?

Perchè così tante opere d’arte parlano della morte?

In questo articolo vi parlo di cosa si nasconde dietro le opere d’arte sacra che parlano della morte.

YouTube player

Stavolta Salsa d’Arte è “dall’altra parte”.
Invece di essere io ad intervistare, sono stata intervistata! L’argomento può spaventare, ma è parte inevitabile (sconosciuta, misteriosa) della nostra vita. E gli artisti lo avevano capito.

Emily Dardiz, nel il suo canale Tratto da una storia vera, ospita due Salse d’Arte (la prossima uscirà nelle prossime settimane).

Cosa mobil non è che sotto el sole

non vinca morte e cangi la fortuna.

Michelangelo Buonarroti

(non c’è niente che si muova sotto il sole che la morte non possa vincere e la fortuna cambiare)

La morte nell’arte

La morte è un argomento estremamente presente e pervasivo nella storia dell’arte.

Dal Medio Evo a tutta l’età moderna, la morte è specialmente presente nella pittura religiosa, che rappresenta la maggior parte dell’arte.

Troviamo raffigurazioni della morte anche nella pittura storica, che spesso si focalizza sulle guerre, ma è soprattutto nella pittura religiosa che essa è un elemento non solo presente ma anche predominante. Il tipo di narrazione prediletta dalla religione cristiana infatti sono le storie del Vangelo e le vite dei santi martiri.

Esistono molti cicli pittorici che narrano le vite di questi santi e il finale è sempre lo stesso: il santo viene martirizzato, spesso in modo molto cruento; nella scena successiva viene rappresentato in gloria, vivo nell’aldilà come santo da adorare. 

Un esempio tra tutti:Il ciclo di Sant’Orsola, del Capaccio.

La morte nell’arte | L’umanità dietro il sacro

La morte quindi è quasi un’ossessione della religione cristiana.

Oggi però rischiamo di non capire proprio tutto e di perderci delle sfumature di significato, poichè la religione fa da filtro alla nostra comprensione: le persone non religiose non la trovano interessante, e le persone credenti ci vedono semplicemente la cronaca di fatti accaduti.

Però dobbiamo comprendere che la religione era una cultura di base in cui tutti un tempo erano immersi; era una visione collettiva, condivisa, dentro alla quale c’erano molti significati. Era parte della vita, non qualcosa di separato. Per comprendere le opere d’arte di quel tempo, dobbiamo un po’ “fare la tara” alla religione e scopriamo che sotto c’è molta… umanità. 

Emily: “Le opere d’arte svolgono allora quello che oggi è la funzione dei gruppi di mutuo aiuto, ovvero quello di portare il dolore ad una dimensione collettiva.”

Ti interessa imparare i segreti delle opere d’arte? Leggi anche Caravaggio: le sette opere di Misericordia finalmente spiegate

Lo spiego meglio, a partire da un’iconografia molto famosa, quella della Pietà.

Precisazione: l’iconografia è un “modello” che i pittori seguivano. Una volta infatti, non si inventavano le cose da dipingere, ma c’erano dei precisi modelli, che tutti capivano. Per esempio, se vedi un uomo trafitto dalle frecce, sai che è San Sebastiano, è la sua iconografia.

La Pietà è una raffigurazione della Madonna che regge il corpo morto di Cristo e lo mostra.

La Pietà Vaticana

Un esempio è la Pietà di Michelangelo (1499), che è famosissima.

La prima lettura di quest’opera è semplicemente la cronaca di un fatto narrato nel Vangelo, cioè la morte di Gesù.

Ma c’è un altro livello di lettura: quello della madre che perde il figlio, che è uno dei drammi più devastanti per l’animo umano. Oggi ci sembra un fatto marginale, perchè siamo una società sana e pacifica in cui di solito non sono i genitori a sopravvivere ai figli; in passato tra malattie, guerre, congiure, era un evento molto molto più frequente. Avveniva ancora più spesso alle madri di perdere i figli piccoli, perchè la mortalità infantile era altissima.

Quindi vediamo che sì, c’è la scena sacra, ma la persona che guardava magari si riconosceva ed immedesimava con il suo dramma ed il suo dolore personale, che veniva trasfigurato e portato ad una sfera spirituale, in qualche modo dando anche un senso a qualcosa che sembra totalmente insensato, come la morte di un figlio.

Se guardiamo bene, nell’opera di Michelangelo la Madonna inoltre è troppo giovane, sembra una ragazzina, questo dimostra quello che dicevo prima, cioè che queste opere non sono una pura cronaca, una narrazione di fatti, ma siano più che altro simboliche.

In questo caso specifico la giovinezza rappresenta la verginità.

La Pietà Rondanini

Ho scelto di concentrarmi su Michelangelo, non solo perchè la sua Pietà è celeberrima, ma anche perchè possiamo fare un interessante confronto tra due opere realizzate in momenti diversissimi della sua vita.

Mentre la Pietà del Vaticano è un’opera giovanile, quest’altra, la Pietà Rondanini (1555-64) è un’opera della vecchiaia, la sua ultima opera.

E’ assolutamente sconvolgente. Vedete come lo stile sia diverso, non è più rifinita, lucidata, tenera, questa è un’opera volutamente grezza, volutamente “non finita”,ed in questo sta proprio la sua potenza. Sapete che ad un certo punto Michelangelo inizia a non finire le opere e quindi rimangono sempre in questo stato di costante lotta tra la figura e la pietra, la figura che cerca di emergere dalla pietra.

Michelangelo teorizzava che la figura esistesse già nella pietra e che lo scultore dovesse liberarla. 

Emily: “Il non finito mi ricorda “l’incompiuto” che la morte inevitabilmente lascia dietro di sé”.

Esempio di non finito (Tombe Medicee, dettaglio)
Pietà Rondanini

Se guardiamo la sua ultima Pietà, che si chiama Pietà Rondanini e si trova a Milano al Castello Sforzesco, la figura non ce la fa più, sta per vincere la pietra. 

Ed il Cristo è vecchio. Guardate le gambe magre: paragonatele alle figure muscolose per cui Michelangelo era famoso.

Qui non è più la cronaca della morte di Gesù, ma è Michelangelo stesso che è vecchio e sente la sua ora che si avvicina. Sente questo abbandono alla pietra, è lui stesso che si affida alla Madonna, si identifica con il Cristo morto. 

Tiziano Vecellio: Compianto sul Cristo Morto

Tiziano, 1575. Vediamo anche qui un’opera della vecchiaia, il compianto sul Cristo morto. Il compianto è un’altra iconografia, simile a quella della Pietà, ma che comprende altre persone che appunto piangono appena dopo che Gesù viene deposto dalla croce.

Anche qui è evidente che è molto di più di una narrazione di fatti: è il testamento di Tiziano.

Lo sapevi? Tiziano morì di peste, anziano, alcuni anni dopo aver dipinto quest’opera. Ne ho parlato in questo articolo: Come sopravvivere a coronavirus peste!

Il vecchio che vediamo di fronte è stato identificato con Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, oppure con San Gerolamo (San Gerolamo non c’entra in realtà con la morte di Gesù, è un santo che vive dopo). Ma in realtà, indipendentemente da chi sia il personaggio, sappiamo che il vecchio è l’autoritratto di Tiziano stesso, a cui la Vergine porge il corpo morto del figlio. Anche lui quindi, come Michelangelo, medita sulla propria morte.

Caravaggio: La morte della Vergine

Abbiamo visto come gli artisti trasmettessero spesso un proprio lato personale all’opera, nonostante i molteplici vincoli a cui dovevano sottostare.

Emily: “Non dev’essere stato facile avere dei committenti che ti dicevano cosa dovevi fare.”

Ad alcuni artisti, i vincoli stavano più stretti che ad altri.Un esempio celebre è Caravaggio, in particolare in un’opera che interessa molto il tema che stiamo affrontando, ovvero la morte nell’arte.

Quest’opera infatti, a differenza della versione canonica di questa iconografia, che prevedeva un’immagine dignitosa e formale, mostra la Madonna come una donna comune, scomposta nel letto, mentre gli apostoli e la Maddalena sono in preda ad un dolore incontenibile.

Ho affrontato questo argomento in modo più approfondito nell’articolo: Fuori dagli schemi,

Questa rappresentazione, molto più umana che divina, ha suscitato non poco scandalo all’epoca per l’eccessivo realismo. A pensarci bene forse sarebbe scandalosa ancora oggi, se non coltivassimo oggi il culto del “mito di Caravaggio”.

Emily: “Anche oggi c’è in effetti il tabù della sofferenza, basta pensare ai social, che ci vogliono sempre sorridenti… Ma attraversare il dolore è il primo strumento per poterlo superare e trasformare in qualcosa di utile”.

Piero Della Francesca: la Pala di Brera

A volte succedono anche delle cose bizzarre. Prendiamo la pala di Brera (1472), famosissima, in cui c’è la Madonna con Bambino, santi e angeli e il committente, Federico da Montefeltro.

Cosa c’è di strano? Beh, il bambino dorme. Quindi questa iconografia è un ibrido tra quella della Madonna con il Bambino e la Pietà, prefigura la pietà. E non a caso, infatti questo accenno nascosto alla morte è dovuto al fatto che Montefeltro aveva perso sua moglie Battista Sforza, morta di parto.

E indovinate chi è ritratta nel volto della Madonna? Proprio lei, Battista Sforza!

Come vedete, dietro la scena sacra c’è moltissima umanità, dramma, riflessione. Quando guardate le storie sacre, ricordatevi che in realtà parlano di persone e cercano di dare un senso al dolore e al mistero della morte.

Emily: Cosa può essere utile alle persone ciò di cui abbiamo parlato oggi?

Credo che trovare un’opera d’arte in cui rispecchiarci in un momento di dolore possa essere uno strumento in più per affrontarlo. Non solo su internet: anche nelle nostre città, nei nostri musei, dato che abbiamo la fortuna di abitare in Italia. Cercate l’opera d’arte che risuona meglio in voi.