Il coronavirus ha avuto molti effetti, ci ha dato un senso di paura ma anche di comunità.
A me personalmente sta dando anche il senso della storia.
La sensazione di vivere un periodo storico di cui si parlerà a lungo.
Ora, per quanto grave, il covid 19 non è paragonabile alle epidemie del passato che erano ben più violente e soprattutto non si avevano i mezzi medici e scientifici per comprenderle.
Ma è facile che il pensiero vada a quegli episodi in cui città dopo città il morbo dilagava.
Pensate che la più violenta, quella del 1347-48, conosciuta come peste nera o morte nera, si è portata via un terzo della popolazione Europea.
Pensate: in media una persona su tre è morta in quei due anni.
E noi tutti siamo discendenti da chi è sopravvissuto. La peste nera è proprio quella di cui parla il Boccaccio nel Decameron.
La quarantena
Uno dei problemi che aveva reso così letale quell’epidemia era anche che le città europee non erano mai state così densamente popolate come in quel momento.
Non si aveva idea della necessità del distanziamento sociale.
Eppure qualcosa si era capito.
Infatti già pochi decenni dopo si attesta la nascita di una nuova parola che oggi ci è tanto familiare: quarantena.
La parola era stata inventata a Venezia per indicare il periodo in cui si facevano sostare le navi sospette per vedere se l’equipaggio si sarebbe ammalato.
Il medico e la maschera
A proposito di Venezia, tra le maschere che si trovano esposte nelle botteghe artigiane, spesso si trova questa.
In realtà non è una vera maschera carnevalesca, o per lo meno non lo era all’inizio.
Si trattava della maschera indossata dal medico della peste, e andava abbinata ad una veste lunga, nera, di tela cerata, con guanti, cappello ed occhiali (Quella nella foto la potete trovare qui).
Questa maschera era stata inventata dal medico del re Luigi XIII di Francia, tale Charles de Lorme, nel ‘500.
Il senso del becco lungo è che al suo interno si mettevano aceto e aromi, erbe varie, perché si pensava che questo aiutasse a non prendere il morbo della peste che si riteneva provenisse dai cattivi odori.
Oggi noi guardiano dall’alto in basso questa invenzione, la consideriamo sciocca ed ingenua, ma forse non lo era così tanto.
Avevano intuito qualcosa di importante, cioè che la malattia si potesse prendere attraverso l’aria ed il contatto con altri malati.
Oggi i medici si proteggono proprio con guanti, mascherine ed occhiali, quindi se ci pensiamo la maschera non era un’idea del tutto sbagliata.
Inoltre, anche la percezione che le malattie fossero correlate ai cattivi odori non era così assurda; infatti intuitivamente le persone avevano capito che le cose maleodoranti, come ad esempio il cibo putrescente, sono pericolose per la salute; noi oggi sappiamo però che è per colpa dei microorganismi e non dell’odore in sé, ma all’epoca si basavano su conoscenze empiriche.
Nel tempo, la maschera della peste è stata assimilata alle altre maschere veneziane ed indossata in modo anche scaramantico nei confronti della malattia.
Purtroppo la peste è tornata a farsi viva molte volte nella storia. Nell’arte è associata a San Sebastiano, santo protettore contro la peste, perché le ferite delle frecce con cui era stato martirizzato venivano assimilate ai bubboni provocati dalla malattia.
Lo vediamo qui nel dipinto del Mantegna del 1481.
La peste a Venezia
Vi voglio parlare di una epidemia di peste particolarmente legata a Venezia, quella del 1575-77, perché ebbe delle conseguenze particolari su questa città.
La prima è che si portò via il pittore Tiziano, già in là con gli anni, infatti nel 76, quando morì aveva probabilmente 86 anni. Tiziano è un pittore che ha segnato il 500 come uno degli artisti più importanti ed ammirati.
Nell’ultimo periodo la sua pittura si era dissolta ed era diventata sfaldata e contrastata, in linea con le innovazioni del giovane Tintoretto.
La chiesa di Cristo Redentore
Per scongiurare la fine di questa terribile malattia, che uccise un veneziano su tre, il doge ed il senato veneziano fecero voto che avrebbero fatto erigere una chiesa dedicata a Cristo redentore sull’isola della Giudecca.
Fai un tour alla Peter Pan nella Venezia che non c’è!
Il progetto fu affidato all’architetto più prestigioso della Serenissima, che non è altri che il famoso Andrea Palladio.
I lavori iniziarono a maggio del 1577, quando la peste imperversava ancora.
Lo stile desiderato da Palladio era, secondo la sua poetica che si componeva di classicismo, l’equilibrio prefetto, ma anche di maestosità e forza, solidità.
La facciata è molto interessante perché replica più volte la cifra stilistica che più identifica Palladio: il frontone, mutuato dai templi dell’antica Roma.
Chiesa del Redentore a Venezia
Esempi di frontone in ville palladiane
Nella chiesa del Redentore il frontone principale è intersecato da uno secondario e ne sormonta un terzo più piccolo, che evidenzia il portale.
La decorazione dentellata crea movimento e spezza delicatamente il blocco unico delle superfici.
In alto vediamo persino un quarto frontone, spezzato da un cornicione rettangolare.
La festa del Redentore
A luglio del 1577 finalmente la peste finì.
Si decise che si sarebbe fatta una grande festa, e che questa festa si sarebbe ripetuta ogni anno.
Si creò un ponte di barche sul Canale della Giudecca che permetteva di raggiungere a piedi la nuova Chiesa del Redentore.
Ancora oggi, a quattro secoli e mezzo di distanza, a luglio si ripete a Venezia la festa del Redentore con spettacolari fuochi d’artificio, una tradizione affascinante e molto sentita.
In conclusione… Le epoche definite dalle epidemie
Le epidemie lasciano tracce profonde nella nostra società. Sicuramente ognuno di noi sente che il mondo è cambiato dopo la pandemia di Covid 19, tanto che, se ci fate caso, le persone spesso utilizzano come riferimenti temporali i concetti di “prima del Covid” e “dopo il Covid”, come facevano i nostri nonni quando si riferivano a prima o dopo la guerra.
Anche in passato le epidemie lasciavano tracce e le possiamo scovare ancora oggi, in costumi, tradizioni, parole, e persino celebrazioni e monumenti religiosi.
Proviamo a non guardare con superficialità ai vari Santi Stefano e San Rocco dipinti così di frequente dopo le epidemie di peste: ora possiamo più profondamente entrare in empatia con quelle persone e comprendere la loro paura per questo nemico invisibile, la malattia e comprendere lo spirito con cui l’essere umano cerca di spiegare le cose e trovare soluzioni.